Le emozioni di una gara di trail running
Piccolo resoconto della mia UTLAC 30 2022
Sabato 4 giugno 2022 ho partecipato alla UltraK Trail, una gara di trail running di 70 km con 4.750 metri di dislivello nell’Appennino Tosco-Emiliano.
Non avevo mai corso per così tanti chilometri, con così tanto dislivello e per così tanto tempo.
Quasi 14 ore. La batteria del Garmin non ce l’ha fatta, io sì.
È stato praticamente un “viaggio”, su e giù per i monti e all’interno dei miei pensieri, che da una parte ha messo a dura prova muscoli e spirito, dall’altra, però, alla fine li ha rafforzati.
Alcune persone mi hanno chiesto
“Chi te lo fa fare?”
“Ma hai delle colpe da espiare?”
“C’è bisogno di correre così tanto?”
“Da cosa stai scappando?”
Non so rispondere a queste domande, ma voglio provare a raccontare cosa ho capito da questa esperienza di ultra trail, trascrivendo alcuni pensieri emersi durante il “viaggio”.
Mi serve sempre un obiettivo. Sfidante e lontano. Così posso mettermi alla prova e dare un senso agli allenamenti e ai sacrifici.
Non mi sento mai abbastanza preparato e all’altezza quando sono sulla linea di partenza. È una specie di timore reverenziale verso la sfida.
Il corpo è in grado di attingere ad energie che non sapevo nemmeno di avere, praticamente infinite. I nutrizionisti lo chiamano grasso.
Le salite, per quanto lunghe e faticose, una volta giunti in cima riservano sempre un piacere e una soddisfazione maggiori della sofferenza.
Il panorama in vetta ripaga di tutti gli sforzi, soprattutto se il sentiero corre lungo una cresta relativamente in piano e corribile: il cielo sembra più grande e la montagna più imponente.
Le discese sono più difficili delle salite: è più probabile cadere e farsi male, i muscoli bruciano e le articolazioni scricchiolano. Ma in discesa ci si diverte.
Ho sorriso ad ogni persona incontrata: dai volontari (che ho anche ringraziato) agli escursionisti che ho incrociato, dagli animali liberi nei prati agli spettatori all’arrivo. Ma in particolare ho sorriso ai fotografi perché la fatica passa, ma le foto restano.
Le crisi arrivano. Grazie a questa consapevolezza si possono affrontare e superare. E sempre grazie a questa consapevolezza a volte non arrivano proprio.
In 14 ore ho sofferto. Il caldo, il freddo, la sete, la fame, il vento, i crampi, le irritazioni, il sudore negli occhi. Grazie a questo si è alzata la mia “soglia del lamento” e ho capito che non ha senso lamentarsi dei disagi quotidiani.
Quel che faccio viene visto e giudicato: dare un buon esempio è una responsabilità che sento profondamente.
Ho corso per le ultime 4 ore da solo, immerso nella natura e nella fatica, ma nei miei pensieri sono venuti a trovarmi tante persone che conosco e a ciascuno ho dedicato un pezzo del percorso.
Poter correre liberamente è un “lusso”: mi sono ripromesso di onorare sempre la corsa e ringraziare per potermelo permettere.
Terminata un’impresa mi serve un nuovo obiettivo, una nuova sfida, sempre con me stesso. “L’asticella si può sempre alzare”. Anche se so che così, però, non si finirà mai.
La mia vita è sempre stata mossa dalle passioni. E Jovanotti che canta “La bella vita… con la passione che rende amica la sofferenza” ha riassunto il perfetto significato di quello che faccio.
115 partecipanti. Abbiamo tagliato il traguardo in 70.
Sono arrivato 34° assoluto, 30° uomo in 13:53:47
Ho bevuto circa 4 litri di liquidi tra acqua, sali e coca. Più un altro litro e mezzo dopo l’arrivo.
Per la prima volta non ho avuto male ai muscoli delle gambe la settimana dopo la gara.