Mezzo ironman col botto

Mezzo ironman col botto

Aronamen 2017

Premessa

Come al solito, finita una gara “obiettivo” ne devo cercare subito un’altra per rimanere motivato e dare un senso agli allenamenti; così, dopo aver portato a termine il mio Rimini Challenge 70.3, primo mezzo ironman della stagione 2017, ne ho cercato subito un altro: la scelta è ricaduta sull’Aronamen 112.9, gara di cui avevo sentito spesso parlare, comoda come logistica, visto che si trova ad un’ora da Milano, e piuttosto economica soprattutto iscrivendosi per tempo.
Le uniche due note dolenti sono il fatto che la frazione in bici avviene su strade aperte al traffico e che a fine luglio si soffre un gran caldo.
Propongo l’Aronamen ai miei compagni di squadra della SGM Triathlon, ma l’idea solletica solo Paolino e Giova. Paolino però non si iscrive per via di un matrimonio che cade proprio il weekend della gara, mentre Giova si lascia convincere definitivamente e mi da il benestare per occuparmi delle pratiche di iscrizione e prenotazione dell’albergo. Anche se Arona è vicino conviene arrivare in loco il giorno prima, visto che la zona cambio chiude alle 6:30 e alle 6:50 parte la prima batteria.

Tra i vari allenamenti decido che voglio provare il percorso in bici e mi organizzo con Giova per farlo insieme, così un mese prima della gara dedichiamo una domenica mattina al giro di perlustrazione, seguendo un tracciato caricato da un utente su Strava. Alle 7 del mattino siamo ad Arona, dove ha appena smesso di piovere e si sta aprendo il cielo.

Dettagli Gara
Tempo totale
5:10:04
Dislivello
950
Nuoto
31:19
T1
2:59
bici
2:41:14
corsa
1:54:34
Pettorale
80
Posizione
174
Pos. Categoria
43

I primi 40 chilometri sono sul lungo lago, da Arona a Stresa e ritorno, su un continuo dolce saliscendi; dopodichè si deve prendere una strada con una bella salita, preannunciata da un cartello fatto a mano che riporta “gran premio della montagna”: ci aspettano 5 km da fare con il rapportino, ma a metà siamo costretti a fermarci in quanto una camionetta dei pompieri occupa la stretta carreggiata. I pompieri stanno cercando di rimuovere un albero divelto dal nubifragio della notte che blocca il passaggio.

Ripartiamo e questa prima salita si conclude con una serie di scritte di incitamento sull’asfalto, proprio prima dello scollinamento leggo a terra “Daje Simo”: non resisto e mi fermo per fare un selfie, pensando a quando in gara arriverò in questo punto e farò mio questo sprone.
Il tracciato continua con discese dolci e qualche salita più o meno ripida; Giova fa fatica a starmi dietro, quindi tengo un ritmo basso e agile, finchè dopo 80 chilometri ci ritroviamo alla macchina.

Io sto bene e non sono stanco, Giova è stravolto: si rende conto che deve allenarsi seriamente se vuole affrontare il debutto sul mezzo ironman senza stramazzare.

La settimana della gara

Ad una settimana dalla gara chiamo Giova per sapere come va: 40 di febbre e antibiotici da qualche giorno! Mi spiega che dopo la prova del percorso si è messo sotto con gli allenamenti, ha raggiunto un ottimo stato di forma, ma non ha rispettato alcun periodo di scarico: sovrallenamento! Ne avevo sentito parlare, ma non avevo mai visto gli effetti: Giova è uno straccio, occhiaie esagerate, dorme 14 ore al giorno e non ha più un briciolo di energia. Prendere il via alla gara in queste condizioni è impraticabile, ma decide ugualmente di accompagnarmi ad Arona e farmi da supporter.

L’organizzazione dell’Aronamen si è occupata anche di trovarci e prenotarci un albergo per la notte tra sabato e domenica; poichè ci siamo iscritti tardi l’albergo non si trova ad Arona, ma nel paese prima a circa 5 km dalla zona cambio. Passo a prendere Giova sabato pomeriggio, dopo aver preparato lo zaino e controllato lo stato di tutta l’attrezzatura. Giova porta la sua bici, ma lascia volutamente a casa il casco, la muta e tutto quello che potrebbe consentirgli di gareggiare per non farsi venire l’insana idea di provarci: anche se ora sta decisamente meglio l’aver in corpo antibiotici comporta una perdita esponenziale delle energie durante gli sforzi prolungati.
Per le 16.30 siamo siamo all’hotel Sirius di Ospedaletto, il tempo di lasciare la valigia in camera e ci dirigiamo in bici verso Arona per ritirare il pacco gara. Mi aspettavo un caldo infernale e invece delle minacciose nuvole nere oscurano il cielo e portano aria fresca: il tempo di arrivare alla zona cambio e trovare il bar sul lago dove vengono consegnati i pacchi gara che si scatena un nubifragio. Siamo ammassati sotto il tendone del bar insieme a decine di triatleti; ritiriamo il pacco gara che contiene la busta con i numeri e il pettorale, una confezione di pasta, un bagnoschiuma e due bottiglie di vino che riceviamo grazie ad una convenzione dell’Aronamen con il Triathlon Internazionale di Bardolino, cui abbiamo partecipato a giugno. Per fortuna nel pacco gara c’è anche un comodo zainetto per poter riporre tutta la roba non farsi 5 chilometri in bici con un sacchetto da 5 chili attaccato al manubrio. Dobbiamo aspettare un’ora e mezza prima che spiova un po’ e si possa lasciare il tendone del bar dove ormai siamo tutti infreddoliti e umidicci. Sotto le ultime gocce lasciamo Arona pedalando tranquilli e come raggiungiamo la statale ci rendiamo conto che è tutto asciutto: ma ha piovuto solo sulla zona cambio dell’Aronamen?

Rientrati in albergo ci comunicano che la colazione sarà servita alle 4:30, considerando che la zona cambio aprirà dalle 5:30 alle 6:30 e la partenza sarà alle 6:50. Scopriamo però che non ci sarà il late check-out e che quindi dovremo lasciare libera la stanza la mattina presto senza poterci tornare per una doccia dopo la gara. Dopo una cena veloce in un ristorante cinese andiamo a dormire cercando di sfruttare le poche ore prima che suoni la sveglia.

Il giorno dell’Aronamen

Mi alzo prima della sveglia: ho dormito poco e male, mi serve una doccia per lavare via la stanchezza. Per fortuna ho avuto la possibilità e l’accortezza di dormire molto nei scorsi quindi non dovrebbe pesarmi aver fatto poche ore di sonno.

È fondamentale dormire molto i giorni che precedono una gara di endurance. In questo modo, anche se la notte prima della gara si dorme poco, le prestazioni non subiranno un calo dovuto alla mancanza di sonno.

Andiamo nella sala ristorante dell’albergo, già gremita di altri triatleti che fanno il carico prima della gara. Resisto alla tentazione di brioche e torte e mi attengo alle indicazioni alimentari di Paolo Lazzarin, il coach che mi ha preparato negli ultimi mesi: tè con il miele, fette biscottate con marmellata, una banana. Con sorpresa, al tavolo accanto al nostro prende posto Aldo Rock: dopo averlo incontrato allo sprint DeeJay Tri dell’Idroscalo di Milano, un’altra gara con il mito.
Torno in stanza, indosso il body, allaccio il chip alla caviglia così non me lo dimentico e fisso il pettorale alla cintura elastica. Il numero alla bici l’ho già attaccato ieri, mancano solo i due numeri da apporre sul casco, che però è in macchina, quindi lo farò dopo.
Un ultimo controllo allo zaino TYR con le cose da lasciare in zona cambio e ci dirigiamo alla macchina, fisso la bici sul porta bici e via verso Arona: la tensione pregara comincia a sentirsi.

Alle 6.10 parcheggiamo, scarico la bici, zaino in spalla, casco in testa e ci dirigiamo a piedi verso la zona cambio chiacchierando. Mentalmente ripercorro tutto quello che dovrò fare, posizionare la bici sulla rastrelliera, scarpe lato catena, casco sul manubrio… Oddio! I numeri sul casco! Mi fermo di botto, guardo Giova con il panico negli occhi: dove ho lasciato i due adesivi? Cerco nello zaino dove ero convinto averli messi, ma non ci sono. Ho la certezza che senza numeri sul casco i giudici non mi facciano nemmeno accedere alla zona cambio, che tra un quarto d’ora chiude! Forse gli adesivi sono caduti in macchina: lascio Giova a bordo strada, salto in sella alla bici e pedalo come un forsennato fino al parcheggio. Ovviamente gli adesivi non sono lì, saranno rimasti in camera! Rimetto la bici sul portabici, salto al volante, raggiungo Giova e lo faccio salire, ripercorro la strada verso l’hotel Sirius al massimo della velocità contando sul fatto che alle 6.15 del mattino non ci siano pattuglie e autovelox. Alle 6.20 sono in albergo, rubo la chiave dalla reception vuota, salgo i gradini a quattro a quattro fino al secondo piano, corro lungo il corridoio, apro la porta e i due adesivi sono lì, sulle lenzuola, ad aspettarmi. Via, ora di corsa al ritroso mentre Giova appone i numeri sul casco. Riparcheggio la macchina alle 6.25, riscarico la bici, casco in testa, zaino in spalla, saluto Giova e pedalo a manetta fino alla zona cambio. I giudici mi fanno entrare, raggiungo il posto 80, l’unico vuoto della fila, aggancio la bici alla rastrelliera e guardo il Garmin Fenix3: sono le 6.28. Ho due minuti per sistemare l’attrezzatura; per fortuna l’ho fatto tante volte e mi viene quasi automatico: fascia elastica con pettorale sulle corna del manubrio, casco appoggiato sulle appendici con gli occhiali infilati nei buchi, scarpe da running con sopra visiera e cintura porta gel accanto alla bici, dal lato della catena. Non ho tempo di agganciare le scarpe da bici ai pedali e fissarle con gli elastici, ma meglio così perché appena salterò in sella dovrò affrontare una salita di un centinaio di metri prima di immettermi sul lungolago e preferisco non dover armeggiare con le scarpe per infilarci dentro i piedi mentre devo pedalare. Lascio le scarpe accanto alla bici e per questa gara lascio anche i calzini: preferisco perdere qualche secondo per indossarli che poi soffrire per le vesciche durante la mezza maratona. Mentre chiudo lo zaino e indosso velocemente la muta sento urlare: “La zona cambio chiude! Fuori tutti!
Appena in tempo, ora posso riprendere fiato.

Frazione di nuoto

Dopo aver lasciato lo zaino al deposito mi avvio verso la partenza, già gremita degli oltre 400 partecipanti. Ritrovo Giova, che mi scatta alcune foto da mandare su whatsapp al gruppo della SGM Triathlon per tenere i nostri compagni di squadra aggiornati sullo sviluppo della mia gara. Non ho ancora visto il tracciato della frazione di nuoto e dal punto in cui mi trovo vedo solo una boa, non molto distante dalla riva; per fortuna dal palco gli organizzatori ripetono al microfono alcune regole: “il percorso in bici è aperto al traffico, quindi rispettate il codice della strada e siate prudenti, il percorso a nuoto ha due boe da lasciare a destra e prevede due giri con uscita all’australiana”.
Le cuffie bianche sono già tutte in fila per la spunta, quindi mi faccio strada per raggiungerle e quando arrivo sulla spiaggetta i 150 triatleti della prima batteria sono già in acqua in attesa dello start. Ho giusto il tempo di sputare un po di saliva negli occhialini nuovi, per evitare di nuotare con le lenti appannate come mi è successo a Bardolino, e posizionarmi in acqua con davanti un bel po’ di concorrenti.

Ore 6.50, fischio del giudice: partenza!
Premo start sul Garmin, attivo il blocco dei tasti e mi butto nella “washing machine”, come chiamano gli americani l’orda di triatleti che inizia a nuotare; in effetti il termine rende bene l’idea perché si viene sballottati a destra e sinistra e si devono mettere in conto manate e pedate. Mi ci vuole un po’ per trovare il ritmo giusto, quindi non forzo, sto in scia, ma controllo frequentemente la posizione della prima boa respirando frontalmente per mantenere la traiettoria più diritta possibile. Quando giro la boa il gruppo si è già sgranato, vedo finalmente la seconda boa in lontananza e a questo punto aumento il ritmo e faccio il mio passo: quelli forti sono già avanti di una cinquantina di metri e non posso raggiungerli, cerco solo di non avere altri concorrenti intorno che mi possano intralciare. Giro la seconda boa e costeggio la riva senza una traiettoria precisa perché non si vede subito il punto d’uscita, tengo quindi come riferimenti le cuffie bianche svariati metri davanti a me. La spiaggetta arriva presto e appena tocco il fondo con le mani mi alzo e provo a correre; vabbè, meglio camminare. I primi 900 metri sono andati, guardo il Garmin: 15 minuti esatti! Bene, sono nei tempi previsti.
Mi tuffo e parto per il secondo giro, che faccio quasi tutto in attaccato ad un concorrente che non riesco a superare: tanto vale approfittarne e sfruttare la scia. Ora della seconda boa ci troviamo a doverci fare strada tra alcuni triatleti della seconda batteria al loro primo giro; comincio ad essere un po’ affaticato, ma stringo i denti perché manca poco: quando esco dall’acqua premo il tasto lap del Garmin e corro verso la zona cambio dopo una frazione di nuoto durata circa 31 minuti.

T1

Nella zona cambio ci sono quasi tutte le bici, vuol dire che nel nuoto ho lasciato dietro molti concorrenti della mia batteria: so che mi riprenderanno nell’arco della gara, ma la sensazione di stare nel gruppo di testa mi galvanizza.

Sfilo la muta velocemente, indosso i calzini sui piedi bagnati, infilo le scarpe e chiudo le straps; aggancio la cintura porta pettorale, metto il casco e gli occhiali e via di corsa verso l’uscita, dove Giova mi incita e scatta una foto.

Frazione bici

Passo la linea di rilevamento dei chip dove il giudice indica il punto in cui si può salire in bici. La strada è già in salita, salto in sella e aggancio al volo la scarpa sinistra sul pedale, il ché mi consente di dare le prime pedalate di abbrivio e affrontare la salita, superando un concorrente che ha deciso di correre a piedi spingendo la bici fino al culmine e un altro che ha i piedi sopra le scarpe già agganciate ai pedali.

Poiché avevo lasciato la bici con un rapporto agile non faccio fatica e sono subito sul lungolago dove posso lanciare la mia Cannondale Caad 10: i primi 20 chilometri ci porteranno a fino a Baveno, giro di boa e ritorno sulla stessa strada per altri 20 chilometri prima di affrontare le salite vere.
Assumo subito la comoda posizione sulle aerobar e inizio a macinare i primi chilometri, stando conservativo per i primi 15 / 20 minuti, ma sempre sopra i 35 km/h. Ogni tanto mi sorpassa qualche missile su bici da crono che mi invoglia ad alzare il ritmo, ne approfitto per spingere sulle leggere discese e superare un concorrente per non stargli in scia. Un paio di altri concorrenti mi sorpassano, il secondo a pochi metri di distanza dal primo, evidentemente in scia; li lascio sfilare e quando sono alla distanza di circa 30 metri provo a tenere il loro ritmo, mentre loro sono sempre appaiati. Una moto della giuria mi sorpassa e si affianca ai due: spero che venga data la penalità al concorrente scorretto.
Tengo sempre d’occhio la corsia opposta, sia per controllare le auto che ci sono sul tracciato di gara sia per vedere la testa della gara: ecco il primo che sfreccia via, poi il secondo e il terzo; conto i concorrenti fino alla rotonda dove devo invertire la direzione di marcia e riprendere il lungolago al contrario: sono 35esimo, buono dai! Anche se so che può solo peggiorare mi godo questo momento.
Ora la corsia opposta è gremita di concorrenti, molti in gruppo e in scia: aumento ancora il ritmo per paura che mi raggiungano, rovinandomi la comodità di una strada sgombra. Al quarantesimo, prima di imboccare i prossimi 5 chilometri di salita, il Garmin riporta una media di 37,5 Km/h.
Arranco lungo il “gran premio della montagna”, pedalando con il rapportino ad una velocità che non supera i 14 km/h e la salita sembra non finire mai, mentre altri triatleti decisamente più forti di me mi sorpassano. Non vedo l’ora di trovare il “DAJE SIMO” scritto sull’asfalto che decreta la fine della salita: eccolo! Ricevo un po’ di incoraggiamento per affrontare la seconda metà della frazione ciclistica.
Mi butto nella discesa e faccio riposare un po’ le gambe, ma la pacchia dura solo un paio di chilometri perché inizia la seconda salita che in 5 chilometri porta dai 1000 ai 1220 metri di altezza. L’asfalto scorre lento sotto le ruote mentre sgocciolo sudore, sia per la fatica sia per la temperatura che si sta alzando: raggiungo la cima completamente sudato, la mia velocità media è scesa intorno ai 29 Km/h, ma ora so che ci sarà tanta discesa e potrò dare il meglio.

Potrei andare giù di inerzia e invece spingo sui pedali con il rapporto più duro, toccando punte di 60, 65, 70 chilometri orari, finché su uno strappo di salita improvviso comincio a sentire i muscoli delle gambe duri e le avvisaglie di crampi: mi massaggio un po’ la coscia nella successiva discesa e riduco la foga, tenendo un rapporto più agile in vista della mezza maratona che mi aspetta.
Ho percorso 80 chilometri, ora rivedo il lago e so che manca poco, ma non pensavo così poco: ultima discesa e raggiungo la zona cambio dopo un totale di 85 km e 900 metri di dislivello con una media finale di 30,5 Km/h in 2h42’.

T2

Salto giù dalla bici e vedo Giova che mi stava aspettando per documentare l’arrivo della frazione bici. In poco più di un minuto lascio la zona cambio pronto per affrontare l’ultima frazione, quella più dura per me.

Frazione Corsa

Mi ci vuole un chilometro buono per abituare le gambe al cambio di movimento dopo le migliaia di pedalate della frazione precedente, ma già al secondo girano bene e il ritmo aumenta pian piano, stando sempre sotto i 5 minuti al chilometro. Sono circa le 10:30 e la temperatura è buona, grazie al temporale di ieri, ma il sole comincia a salire e so che tra poco si farà sentire prepotentemente. Al primo ristoro, dopo 2,5 km butto giù un bicchiere di sali al volo, ma non mi fermo. Nonostante mi sembra di correre bene, mi superano in molti, tra questi anche Martina Dogana, famosa campionessa italiana e autrice di libri: il suo passo è poco più veloce del mio quindi provo ad “agganciarmi” e così faccio qualche chilometro alle sue spalle.
Dopo il primo giro, dei 4 che vanno fatti, ho una media di 4’45”/Km, ma comincia il lento declino ed eccolo, il “botto, come dicono i miei compagni della SGM Triathon quando si scoppia: sapevo sarebbe arrivato, ma speravo più tardi. Non bastano gli Enervitene che assumo ogni quarto d’ora, il ritmo cala ad ogni chilometro e sembra che il giro non finisca mai, in più la temperatura è salita e ora tocca i 30°C, così ad ogni ristoro mi fermo, cammino, bevo coca cola o sali minerali, metto la testa sotto le doccette quando ci sono o mi butto l’acqua addosso da un bicchiere. Poi a fatica riprendo a correre con l’obiettivo di raggiungere il ristoro successivo, dove la scena si ripete.
Ad ogni passaggio nel centro di Arona incrocio Giova che mi incita, vede che sono allo stremo delle forze e mi invita a non mollare.

“Corri quando puoi, cammina quando devi, striscia se serve, ma non mollare mai”

[ Dean Karnazes ]

Ho bisogno di agganci mentali e ne trovo uno in un concorrente che mi sorpassa lentamente e che riconosco essere Igor: ci seguiamo su Instagram e sapevo che anche lui avrebbe partecipato all’Aronamen. Lo saluto e mi faccio riconoscere, scambiamo due parole e corriamo appaiati; anche lui si ferma ai ristori, ripartiamo insieme ogni volta e ogni volta lui mi sfila via di qualche decina di metri e puntualmente lo raggiungo al ristoro successivo. Così fino alla fine del mio terzo giro: mancano 5 chilometri, pesco dentro di me le ultime energie e ad un ristoro non mi fermo, tiro diritto. “Ciao Igor, grazie!
Ancora 4 chilometri.
Ancora 3 chilometri.
Ormai la media è scesa a 5’35”/Km, arrivo all’ultimo ristoro, cammino, butto giù un bicchiere di coca e riparto con ritrovata energia; provo a spingere e rialzare il ritmo, supero qualche concorrente e tra questi riconosco Aldo Rock: “Forza Aldo!” grido mentre gli sfilo accanto, ormai in dirittura d’arrivo.

Sono nel centro di Arona, tra le due ali di folla nella piazza principale e questa volta anziché continuare verso il lungolago posso finalmente girare verso gli ultimi 100 metri che portano all’arrivo.
Il traguardo è su una pedana con una piccola salita che vedo affollata dei concorrenti arrivati poco prima di me, pertanto non potrò fare il mio salto d’arrivo, ma forse è meglio così perchè non so se ne avrei le forze.
Lo speaker sulla passerella finale mi fa i complimenti al microfono e mi batte il cinque mentre gli passo accanto e raggiungo la finish line, dove mi aspetta Giova per la foto finale. È finita!
Il cronometro si ferma dopo 5 ore 10 minuti.

Finale

Qualche ora dopo l’arrivo, dopo una sessione di massaggi, dopo aver mangiato al pasta party con tanto di birra media ghiacciata e dopo aver chiacchierato con Giova e altri concorrenti della nostra gara, torno in zona cambio per recuperare la mia Cannondale Caad10, rimasta quasi sola.
Raccolgo tutte le mie cose e quando tolgo bici dalla rastrelliera mi accorgo che la ruota davanti è completamente a terra. “Oddio, quando ho bucato? Per fortuna non durante la frazione bike, forse quando sono entrato in zona cambio?
Mentre esco passo accanto ai giudici, che controllano che il mio numero di pettorale corrisponda al numero sulla bici, faccio notare loro che la mia gomma è a terra.
Ah, ecco cosa è stato! Abbiamo sentito un botto qualche ora fa! Deve essere scoppiata per il troppo caldo.
No, quello ero io che sono scoppiato a metà della corsa! 🙂